4 ottobre. Due segni profondi scendono lungo le guance e scompaiono dentro le pieghe di una kefia che avvolge il cappello di feltro bordeaux. Yogouda, gli occhi piccoli e scuri, mi scruta in questo primo giorno di transumanza verso nuova erba. Mi controlla con la coda dell’occhio stando al mio fianco. Ho il mio cavallo, un toro per i bagagli e un asino per l’acqua. Muovo i piedi con l’emozione di ogni primo passo. Camminiamo su un fondo di sabbia argillosa e molle. La mandria che mi precede solleva un polverone come se il terreno su cui appoggia gli zoccoli stesse andando a fuoco: i miei pensieri, le membra, si muovono nella sagoma delle corna. Mi sento spina, muggito, paesaggio mobile… Questa è l’Africa, mi dico, è l’Africa. È la percezione di odori della terra e di pelli diverse, è quel morso di pancia che scaturisce da un fruscio, un crepitio, una favilla che sfugge alle braci per darsi al vento e svanire, è la certezza di essere ai margini di una scena irripetibile, di feroce bellezza, che il buio custodisce e il fuoco riscalda. Io sono lì.
Sono i Peulh Wodaabe, più noti come Bororo, allevatori di zebù dalle grandi corna a lira nelle savane del Ciad centrale, ad accogliere l’esigenza di farmi pastore una volta ancora. Essi si danno alla transumanza per seguire una natura nomade e trovare erba buona per le loro mucche; la mobilità induce a mettere radici su pascoli temporanei, in ogni prato, all’ombra di qualunque acacia. I legami si allacciano tra corpi in movimento e spazio. I pastori nomadizzano in tutto il Sahel: si spostano durante l’anno in piccoli gruppi fino a quando in autunno, dopo le grandi piogge, si ritrovano con i loro zebù in pascoli verdeggianti e ricchi di sale.
Solo allora gli esponenti dei clan riuniti danno corpo alla loro identità attraverso danze, canti, corse di cavalli. Dopo la lontananza, è il tempo dei volti truccati, degli abiti fruscianti, degli occhi spalancati e delle bocche tremanti volte a catturare sguardi in nome della bellezza. E’ tempo di sorbire con calma tè e latte appena munto, di aspergere profumi sui tessuti, di sciogliere le trecce degli uomini e rifarle strette e lucide. Questa volta è l’erba a farsi calpestare, sono zoccoli di mucche a tracciare il solco tra cespugli e pozze fangose. E’ una storia fatta di muggiti, polvere e fumi di fuoco all’imbrunire, corpi nervosi di femmine a seno nudo intente alla mungitura, rari mercati dove vendere burro, danze, danze, danze …
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