AFRICA – NR 3/2022
Elena Dak e Bruno Zanzottera
Nei loro Paesi di origine – Mali, Senegal, Ciad – si dedicavano all’allevamento degli zebù dalle grandi corna. Oggi gestiscono la transumanza delle greggi di pecore tra le pianure del Nord-est e gli alpeggi dolomitici, fornendo un sostegno fondamentale al settore agro-pastorale.
Piove a dirotto sulle montagne che circon- dano Agordo, nel bellunese. Il bosco gron- da da ore e si spande nell’aria il profumo del sottobosco umido. Saloum indossa una
mantella di plastica verde scuro e sta immobile in mez- zo alla radura che ospita il gregge mentre le gocce gli scorrono giù dalle spalle come fosse un abete rosso. Gli animali brucano, lui li osserva e attende, con sguardo vi- gile. Oltre a Saloum potrei citare Mohammed, Ibrahim, Samuel. Sono i nomi di alcuni pastori fulani, o peul, una delle popolazioni più numerose della fascia subsahariana, sparsi dal Ciad al Senegal.
Questi giovani uomini provengono dal Senegal e uno di loro dal Mali. Nel loro Paese si dedicavano all’alleva- mento delle maestose vacche zebù dalle larghe corna. Un giorno hanno deciso, tutti nemmeno ventenni, che era tempo di andarsene. Hanno venduto qualche capo per racimolare un po’ di soldi e sono partiti: hanno attraver- sato il deserto, il Niger e poi la Libia. Saloum e Samuel si sono incontrati sulla spiaggia nel cuore della notte prima di imbarcarsi e le trentasei ore di navigazione sulle acque del Mediterraneo hanno suggellato un’amicizia che dura dopo sette anni. Nei loro racconti il mare nel buio è spa- ventoso e immenso. All’alba, si è disegnato in lontananza il profilo di una terra: Lampedusa, la salvezza. Lasciata l’isola, ognuno di loro si è dedicato a mille lavori, dal vo- lantinaggio alla raccolta dei pomodori. Fin quando son tornati a fare, come nei loro Paesi, i pastori. Questi sono solo alcuni dei tanti provenienti dall’Africa occidentale che hanno trovato lavoro nel comparto agro-pastorale del Nord-est.
Al posto dei rumeni
Saloum lavora per due giovani pastori veneti che dieci anni fa hanno deciso di comprare un gregge e si dedicano al pascolo vagante. I rumeni sono stati a lungo gli unici “manovali” con cui collaborare, ma oggi sempre più afri- cani si stanno facendo spazio nella professione. D’estate le greggi pascolano sugli alpeggi dolomitici; in autunno cominciano la lenta discesa verso la pianura. I pastori si spostano ogni giorno secondo le regole chiave della mo-
bilità pastorale: cercare cibo per i loro animali. Saloum lavora per Fabio e Alice da più di un anno. Le centinaia di pecore, le poche capre e gli immancabili asini sono il suo mestiere da mane a sera, tutti i giorni dell’anno. Rispetto al passato le vite dei pastori sono un po’ più co- mode, tuttavia le ore di lavoro giornaliere sono tante e le mansioni innumerevoli. Spostare il gregge da un campo all’altro è l’aspetto più evidente ma tutt’altro che banale. Bisogna farlo a seguito di molte valutazioni.
Il pastore italiano si avvia, le pecore lo seguono e Saloum chiude la fila, accertandosi che nessun animale resti in- dietro e che il suo cane, Brina, tenga d’occhio eventuali animali impigriti o indisciplinati. Anche nelle ore di at- tesa, mentre gli animali brucano, Saloum è all’erta tutto il tempo. Gli animali non devono salire sulla carreggiata, né entrare negli orti e nemmeno finire dentro i fossi. Un attimo di distrazione può essere fatale.
Braccianti per poco
Raggiungo i pastori tutte le volte che posso per calarmi dentro una realtà che non è solo veneta o italiana ma che riguarda tutta la sponda nord del bacino del Medi- terraneo. In molte aree marginali d’Europa la presenza degli immigrati è diventata fondamentale per bilanciare il declino di certi settori e lo spopolamento delle aree più interne. Pertanto i giovani stranieri non solo occupa- no posti di lavoro che altrimenti sarebbero vacanti, ma formano comunità che integrano e conservano un tessuto sociale sempre più fragile a causa dell’abbandono dei pic- coli paesi. «Negli ultimi decenni la presenza di migranti africani nel comparto agro-pastorale euro-mediterraneo è stimolata dalla domanda di manodopera a basso costo», scrive Michele Nori in un lavoro di ricerca edito da Imi- scoe. La modernizzazione dell’agricoltura e l’inserimen- to all’interno di un sistema volto sopra ogni cosa alla produttività hanno imposto agli imprenditori agricoli di tagliare il più possibile i costi per tentare di rimanere a galla. E ovviamente il costo del lavoro è il più coinvolto. Da un’economia di tipo prevalentemente familiare si è passati alla ricerca di braccia esterne alla famiglia a cui offrire compensi salariali. «La domanda crescente di la- voro flessibile, a basso tasso di competenza specifica e a basso costo – argomenta ancora Nori –, e il decrescente interesse mostrato dalle popolazioni locali per il lavoro agro-pastorale sono diventati sempre più attraenti per i lavoratori immigrati». È molto difficile che un italiano, spagnolo o greco accetti questo tipo di mansione. L’emor- ragia di lavoratori europei si è fatta sempre più consisten- te a partire dagli anni Settanta, sia per il conseguimento di più alti titoli di studio sia per differenti ambizioni pro- fessionali. Di conseguenza, l’agricoltura e la pastorizia hanno rivolto il loro sguardo altrove.
I Peul da questo punto di vista appartengono a una delle categorie che può rientrare in questo settore dell’econo- mia essendo, nell’Africa subsahariana, il gruppo pasto-
rale più numeroso e tra i più esperti. In tal modo si sta verificando una sorta di etnicizzazione di taluni comparti economici.
Senza mai fermarsi
Al solo pensiero della bellezza delle sue mucche sene- galesi, Saloum si rianima. Ma anche i piccoli ruminanti, pecore e capre, possono essere di grande soddisfazione. Bisogna dare gli agnelli alle madri per l’allattamento e toglierli quando il gregge si avvia al pascolo. Segnare i nuovi nati con lo spray colorato. Individuare gli animali più deboli che nelle giornate di cammino più lunghe non ce la fanno a reggere la fatica e metterli al volo nel carro al seguito, dare le giuste indicazioni ai cani badando che non mordano con troppa foga zampe, code od orecchie facendo danni.
A mano a mano che i pastori scendono in pianura devo- no infilarsi nelle maglie di un territorio quasi ovunque coltivato e la gestione delle relazioni con i proprietari dei campi è molto delicata. Arriva spesso qualcuno a intima- re ai pastori di andarsene e se una pecora si infila in un giardino privato Saloum con balzo felino e diplomatica astuzia deve convincere l’animale a tornare sui suoi passi prima di aver divorato tutti i fiori. Ora Saloum cammina con disinvoltura sulle stoppie residue del granturco. Una
pecora ha appena partorito e sta ripulendo il piccolo. Lui è già pronto a segnare col colore mamma e cucciolo, al- trimenti non sarà facile abbinarli nel momento dell’allat- tamento. Un giorno lo vedo camminare con la neve alle caviglie dietro al gregge disorientato dal gelo. Quando mi fermo coi pastori anche la notte, Saloum all’alba è già in piedi: recupera gli agnelli annidati sotto le madri, arrotola la rete di recinzione e si avvia dietro uno sciame di belati, sfiorando col bastone le pecore distratte.
Incubi e sogni
Mohammed, un altro pastore peul, è approdato in Italia dopo essere sopravvissuto all’incubo libico: otto mesi di carcere duro, senza avere commesso alcun reato. Di quel periodo buio fatto di sopraffazioni e violenze non parla volentieri. L’aiuto economico della famiglia rimasta in Senegal gli ha permesso di pagare i carcerieri e ottenere la libertà. «Ho pagato circa 800 euro e a quel punto ho dovuto fare l’imbianchino per altri cinque mesi per gua- dagnare i soldi per imbarcarmi. Il mio obiettivo sarebbe quello di andare in Francia, in ogni caso i soldi che prendo qui facendo il pastore, anche se qui sono pochi, in Sene- gal diventano molti». Alcuni pastori mangiano con i loro datori di lavoro italiani, altri preferiscono cucinarsi i pasti per conto proprio. Mi dice ancora Mohammed: «Mi piace molto il cibo italiano, ma qui lavoriamo molto con i cani e la promiscuità con loro è la regola, e se per caso una pento- la venisse leccata da un cane, cosa che talvolta accade vista la scarsità d’acqua, questo mi creerebbe dei problemi nel fare le preghiere quotidiane, costringendomi ad abluzioni ulteriori per acquisire lo stato di purezza rituale». Oggi la facilità delle connessioni internet agevola il contatto con la famiglia. «Quando sono partito – continua Mohammed – ho mentito a mia mamma dicendole che sarei andato in un’altra città per fare delle cose. Se le avessi detto che stavo partendo per l’Europa me lo avrebbe impedito, co- noscendo i rischi. Oggi per lo meno la posso sentire tutti i giorni con WhatsApp, e forse a fine anno riuscirò ad avere un po’ di soldi per tornare a trovarla. Il mio sogno resta comunque aprirmi un piccolo ristorante, ovunque sia, ma spererei nel mio Paese».