travelglobe – Nr 66/2020
Lungo piste che ora fiancheggiano strade, traffico e fabbriche, i pastori nomadi Rabari mantengono il loro stile di vita, alla ricerca di pascoli e sfidando la modernità.
Foto di Bruno Zanzottera. Testi di Elena Dak
Ci sono esperienze di viaggio e ricerca che a priori sono scelte, perché si immagina il carico di turbamento che indurranno nell’animo di chi le intraprende. I pastori Rabari offrono la certezza del disorientamento in chiunque si accosti a loro per diverse ragioni: per il carattere, a volte aspro e ostile con cui accolgono l’ospite, cui offrono astio alternato a momenti di affettuosa accoglienza, per il profondo senso di appartenenza a cui si addice l’ orgoglio fiero e altero con cui affrontano ogni sfida del presente, e per la caparbietà con cui resistono aggrappati a una vita nomade che la modernità tenta in molti modi di minare. Vivono la contemporaneità non passivamente, bensì mettendo a punto strategie di adattamento sorprendenti, appunto. Invece di subire la modernità e le sue molteplici varianti, i pastori Rabari hanno imparato a convivere con essa, zigzagando tra mille ostacoli e tracciando nuovi percorsi migratori, che li portano a spostarsi per quasi otto mesi l’anno lontano dalle piccole case, che hanno nei loro villaggi natii, alla ricerca di erba e acqua per i loro animali. Ho scelto di pormi sulle loro tracce questa volta non solo perché dal di dentro, come sempre, le realtà nomadi possono essere in qualche modo meglio osservate; camminando insieme si può cogliere quella moltitudine di sfumature, che la visione dal di fuori nega allo sguardo e alla comprensione, ma soprattutto perché soltanto seguendo le loro migrazioni, lungo le corsie di emergenza delle autostrade e in mezzo alle fabbriche, si può tentare di intuire come si esprima e resista il nomadismo nell’India di oggi. Partiamo in due questa volta: Bruno Zanzottera decide di raccontare attraverso le immagini quello che io tento di catturare con le parole. Insieme viviamo due mesi ospiti di alcune famiglie di Rabari Vagadyia, uno durante la stagione asciutta e uno durante il monsone, perché l’aridità e la pioggia impongono al movimento ritmi e modalità differenti e vorremmo coglierle entrambe. Il suo sguardo discreto e paziente diventa alleato prezioso del mio approccio antropologico. Assistiamo ai matrimoni notturni dei giovanissimi sposi poco più che bambini, mangiamo il loro stesso cibo, calpestiamo la stessa polvere, inspiriamo le medesime esalazioni delle fabbriche, presso le quali persone e greggi si accampano spesso per la notte. Lasciamo che camion roboanti sfiorino noi, come loro, nei tratti di cammino lungo le autostrade: le arterie stradali che tagliano il paese sono ormai così fitte, che si fa necessario percorrerle per poter raggiungere i pochi terreni di pascolo disponibili. Poche famiglie, numerose greggi, centinaia di chilometri, per continuare a camminare come pastori nel tessuto più moderno dell’India di oggi.
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